30 AGOSTO – Giornata Internazionale dei Desaparecidos

30 AGOSTO – Giornata Internazionale dei Desaparecidos

La sparizione forzata di persone per motivi politici o sociali è un crimine contro l’umanità

La giornata internazionale dei desaparecidos, è stata istituita dall’ONU nel 2010 su proposta della Federazione Latinoamericana di Associazioni di Familiari di Detenuti-Scomparsi (FEDEFAM) e di altre associazioni per i diritti umani, per ricordare tutte quelle persone che da un giorno all’altro sono scomparse nel nulla. La “sparizione forzata”, conosciuta meglio con un termine che dall’America Latina degli anni Settanta si è imposto in tutto il mondo, desaparicià, è un crimine contro l’umanità, oggi ancora praticato in decine di Paesi, in particolare Egitto, Algeria, Marocco, Cecenia, Pakistan, Bosnia ed Erzegovina, Kossovo.

CHI NON RICORDA LE MADRI DI PLAZA DE MAYO CHE RECLAMAVANO VERITÀ E GIUSTIZIA PER LE FIGLIE E I FIGLI “SPARITI”? L’Organizzazione fu creata dalle madri dei dissidenti argentini scomparsi sotto la dittatura militare tra il 1976 e il 1983 e prende il nome dalla piazza di Buenos Aires divenuta dagli anni Settanta luogo di incontro abituale delle donne, ogni giovedì, per ricordare i propri figli.

Tutto cominciò il 30 aprile del 1977 quando un gruppo di quindici donne, guidate da Azucena Villaflor, si riunì davanti alla Casa Rosada per chiedere alla giunta militare, che aveva rovesciato il governo Péron e instaurato la dittatura, di rilasciare i propri figli. La risposta del regime di Videla non si fece attendere: Azucena Villaflor fu sequestrata nel dicembre del 1977 e di lei non si seppe più nulla. C’è chi dice che sia stata rinchiusa nel campo di prigionia della ESMA, la Escuela de Mecánica de la Armada, lì torturata e poi uccisa. Forse il suo corpo fu uno dei tanti che furono prelevati, messi su un aereo e gettati dai cosiddetti “voli della morte”. La scomparsa di Azucela Villaflor non fermò la battaglia delle Madri che continuò anche dopo l’instaurazione di uno stato democratico, nel 1983.

In un primo momento le madri reclamarono il rilascio dei figli e in seguito chiesero che i responsabili fossero chiamati a rispondere della loro morte davanti alla giustizia. Le hanno chiamate pazze, terroriste, streghe, bestie snaturate:

“Ci chiamavano le pazze, e qualcuno pensava che fosse un’offesa. Ci mettevano dentro tutti i giovedì, e noi ritornavamo. Ci dicevano, eccole lì, le pazze. Le arrestiamo e loro ritornano. Ma noi sapevamo di essere pazze d’amore, pazze dal desiderio di ritrovare i nostri figli… e poi, perché no? Un po’ di pazzia è importante per lottare. Abbiamo rovesciato il significato dell’insulto di quegli assassini.” (Madres de Plaza de Mayo, 1997)

La “sparizione forzata” è una violazione multipla dei diritti umani che si protrae nel tempo: di chi è scomparso dopo l’arresto e dei suoi familiari, che ne attendono invano, per anni, non tanto il ritorno quanto una pur minima notizia, una sottile conferma che sia vivo oppure che sia morto.  L’attesa di anni e anni in questa situazione d’incertezza sfocia nell’orrore delle “sparizioni” tale da associare, a volte, alla conferma del ritrovamento di un corpo, un’espressione di sollievo: si può così svolgere il lutto, celebrare un funerale, avere una tomba su cui pregare e portare fiori, provare a riprendere in mano la propria vita, o quello che ne rimane, da orfana o da vedova.

L’incertezza è più ostile della morte.
La morte, anche se vasta,
è soltanto la morte e non può crescere.
All’incertezza invece non v’è limite,
perisce per risorgere
e morire di nuovo,
è l’unione del nulla
con l’immortalità.

(Emily Dickinson)