Per Padre Mussai Zerai i diritti dei più deboli non sono diritti deboli

Per Padre Mussai Zerai i diritti dei più deboli non sono diritti deboli

Arrivato in Italia dall’Eritrea come minore non accompagnato, Padre Mussai Zerai sin da subito si è coinvolto nell’assistenza ai profughi.

Oggi il suo  numero «è scritto su i muri delle prigioni libiche, nei capannoni dei trafficanti, sulle pareti dei cassoni dei camion che attraversano il deserto”. E poi “negli stanzoni angusti in cui i profughi sono spesso ammassati lungo la tratta, tanto che quel numero si è propagato capillarmente, di mano in mano, di bocca in bocca, come una sorta di “numero verde”». 


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E’  infaticabile Padre Zerai: la sua personale esperienza di profugo è  diventata la vocazione di una vita al servizio dei migranti.  Nel 2006  fonda  l’Agenzia  Habeshia, che significa “meticci”. Per dare un’idea: solo per le richieste di soccorso in mare, dal 2003 al 2018, si parla di 150mila persone, oltre a tutte quelle assistite in Libia, Sudan, Egitto, Gibuti, Arabia Saudita, Indonesia, Cambogia, Yemen, e poi Vietnam, Cuba, Uganda, Georgia… L’elenco è lunghissimo e diverse le forme di aiuto, dalle borse di studio in Etiopia all’assistenza nelle carceri in Egitto.

Bisogna sperare, continuare a bussare, come quella donna del Vangelo, che, volendo giustizia, continua ad assillare il giudice che alla fine, pur di liberarsi di lei, decide di agire. Occorre fare lo stesso: continuare a bussare a tutte le porte.  Ci sono dei momenti di rabbia, ma bisogna ricordare che la colpa è di noi uomini. A tante persone che mi chiedono perché Dio permetta certe cose rispondo che Lui non è un burattinaio, altrimenti verrebbe meno a ciò che è, a ciò che ha promesso: ci ha dato la coscienza e la libertà. Sono le conseguenze delle nostre scelte che generano quello che sta succedendo. Noi ci dobbiamo assumere fino in fondo la responsabilità della nostra libertà, dobbiamo continuare a sperare e a seminare il bene. Bisogna che tutti comprendano che i diritti dei più deboli non sono diritti deboli.”

La guerra nella regione del Tigrai, ha investito anche gli eritrei rifugiati in quella parte del territorio etiope, dopo essere fuggiti dalla dittatura di Asmara. Lo si apprende dal blog dell’Agenzia Habeshia. Sono tantissimi: circa 96 mila, più della metà degli eritrei che hanno chiesto e trovato aiuto in Etiopia a partire dal 2001. Ma oggi c’è pericolo di una vera e propria deportazione di massa, le cui vittime rischiano di diventare dei “desaparecidos” introvabili.

Eppure l’attuale Primo Ministro etiope Abiy Ahmed Ali, di etnia oromo, nel 2019 era stato insignito del Premio Nobel per la Pace.ma ”Nel Tigray c’è un genocidio in corso”: cosi’ oggi parla l’opposizione ad Abiy.