Giornata Mondiale della NONVIOLENZA
Non nuocere richiede un grande coraggio
Nella pratica non violenta è centrale la cosiddetta “noncollaborazione” nei riguardi di altre persone o nei riguardi di una autorità, di una istituzione, di una legge nel qual caso viene ad essere disobbedienza civile.
Per Gandhi la nonviolenza non indica solo la volontà di non nuocere ad alcuno ma è espressione positiva di amore, della volontà di fare il bene, anche di chi commette il male.
L’amore come espressione positiva della nonviolenza richiede che si resista a colui che commette il male dissociandosi dalle sue azioni nella quotidianità anche se questo può offenderlo o contrariarlo.
La noncollaborazione non è qualcosa di passivo ma qualcosa di estremamente attivo, di più attivo della resistenza fisica e della violenza perché attinge alla “forza della sincerità”, dal termine Satyagraha utilizzato spesso da Gandhi.
La parola “nonviolenza”, come intento di non nuocere, non è una parola del Mahatma: ahimsa è uno dei principi essenziali di diverse correnti filosofiche indiane e in modo più particolare del Giainismo. La grande innovazione gandhiana consiste nell’aver trasformato un precetto etico religioso in strumento dell’agire politico.
Aldo Capitini, il Gandhi italiano, ricorda che la nonviolenza è un processo:
“La nonviolenza è affidata ad un metodo che è aperto in quanto accoglie e perfeziona sempre i suoi modi ed è sperimentale perché saggia le circostanze determinate di una situazione”.